La medicina e la chirurgia fanno ricorso, in maniera crescente, a materiali estranei all’organismo al fine di porre rimedio, in via provvisoria o definitiva, al deficit di una funzione fisiologica. Tali materiali, denominati biomateriali proprio per la loro capacità di sostituire parzialmente o completamente le funzioni di un organismo vivente, devono possedere il requisito fondamentale della biocompatibilità, vale a dire non devono interagire in maniera dannosa con l’organismo. Naturalmente i biomateriali non comprendono solamente i dispositivi destinati ad essere impiantati nel corpo umano (protesi articolari, vascolari, valvolari, mammarie e osteosintetiche), ma anche materiali che hanno un contatto con tessuti della mucosa (lenti a contatto e dispositivi intrauterini) oppure destinati a trattare il sangue(rene artificiale). Sono compresi in questa classificazione i sistemi che consentono un rilascio controllato dei farmaci. I biomateriali comprendono classi di sostanze di diversa natura quali materiali ceramici, metallici, compositi e polimerici. Proprio su quest’ultimo tipo di sostanze, che costituiscono la metà dei biomateriali prodotti, è possibile agire con i fasci di elettroni al fine di migliorarne la biocompatibilità. L’utilizzo di fasci elettronici e sorgenti gamma permette inoltre la contemporanea sterilizzazione dei materiali biologici. INIZIO PAGINA IDROGELI POLIMERICI Un campo applicativo importante è la produzione di idrogeli polimerici. Gli idrogeli sono composti macromolecolari reticolati in grado di assorbire e trattenere considerevoli quantità d’acqua( >20% del loro peso a secco). La capacità di assorbire l’acqua dipende dalla natura del monomero da reticolare e dalla presenza di agenti di reticolazione. Ci sono alcuni esempi commerciali di prodotti biomedicali a base di idrogeli ottenuti mediante irraggiamento come la produzione di lenti a contatto o bende per ustioni. In biotecnologia ed in medicina ci sono specie biologicamente attive, quali enzimi, cellule e farmaci, che possono essere immobilizzate o intrappolate in idrogeli ottenuti mediante polimerizzazione radioindotta a basse temperature seguendo la seguente procedura: vengono utilizzate soluzioni acquose del biocomponente da immobilizzare con monomeri acrilici o metacrilici in grado di formare cristalli. Il sistema viene raffreddato a temperature molto basse(@-78°C) cosicché l’acqua si separa come microcristalli nel monomero che viene a trovarsi allo stato di liquido sottoraffreddato. A questo punto è condotta la polimerizzazione per irraggiamento, ottenendo una matrice polimerica con piccole cavità piene di ghiaccio, le quali, una volta che il sistema è stato portato a temperatura ambiente, diventano cavità porose entro cui la specie biologicamente attiva viene immobilizzata per adesione. Il processo d’immobilizzazione è di semplice esecuzione perché avviene contemporaneamente alla polimerizzazione. Inoltre consente di ottenere un ampio intervallo di porosità delle molecole d’acqua semplicemente variando il rapporto monomero-soluzione nel biocomponente. Utilizzando questa metodologia significativi risultati sono stati ottenuti da ricercatori giapponesi nell’immobilizzazione di enzimi e cellule per un loro uso ripetuto come biocatalizzatori e nell’intrappolare farmaci a rilascio controllato. Nei laboratori dell’istituto FRAE-CNR di Legnaro sono condotti esperimenti sui biosensori: questi sono materiali costituiti da una membrana, che converte un segnale chimico proveniente da un organismo biologico in un segnale elettrico, e da una componente fisica che riceve il segnale elettrico e lo trasmette. Gli studi e gli esperimenti hanno permesso di immobilizzare alcuni enzimi (glucosio ossidasi e colina ossidasi) su idrogeli preparati mediante polimerizzazione radioindotta a –78°C ed utilizzarli come sensori amperometrici nelle membrane dei biosensori. INIZIO PAGINA COPOLIMERI AD INNESTO La copolimerizzazione ad innesto indotta dalle radiazioni ionizzanti di monomeri idrofilici su materiali polimerici, se confinata negli strati superficiali, consente un miglioramento della biocompatibilità di questi ultimi con la conservazione delle proprietà meccaniche originali. Un gran numero di composti macromolecolari sono stati utilizzati come materiali di supporto per il grafting di differenti monomeri nella produzione di materiali biocompatibili, ma quelli oggetto di maggiori indagini sono costituiti dai siliconi, dai poliuretani e dai polifosfazeni. Esperimenti condotti utilizzando questa metodologia per la preparazione di protesi tubolari per la ricrescita guidata dei nervi periferici hanno mostrato che la biocompatibilità è ottima rispetto ad i materiali non trattati con radiazioni, ed inoltre i materiali prodotti si sono rivelati essere biodegradabili, rendendo superflua un’ulteriore operazione per la rimozione.
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